Essere leader: come tornare a riveder le stelle?

Annabaldo

Premessa

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Qualche tempo fa – non so neanche quando, esattamente – mi è venuta voglia di scrivere sulla comunicazione, un elemento che occupa gran parte delle nostre giornate di auto confinamento cercando informazioni su quanto sta accadendo.
Che banalità! In realtà ero mossa da un fastidio, in preda ad una reazione anche piuttosto scomposta, di fronte ad un ventaglio di performance in cui spiccavano apici del peggio del peggio.

Per fortuna, per scrivere ci vuole calma.

Si deve aspettare che i moti dell’animo, come onde impetuose, lascino sedimentare la materia che sollevano dal fondo. Almeno questo vale per me, che non sono un Kerouak né un Hemmingway, i quali scrivevano in preda a vari generi di furori, ovvero a furori indotti da elementi esterni, che loro facevano diventare interni.

Alla fine ne è uscito un pezzo in due puntate. Se volete passare al succo della questione, saltate i preamboli e andate ad incontrare il primo intervistato.

Resisto alla tentazione di fare le pagelline ai comunicatori, spesso improvvisati, che popolano social network e altri mezzi di comunicazione. Tra di loro ho trovato anche ottimi esempi, dalla Queen per eccellenza al Presidente Mattarella, fino a certi Sindaci di provincia, che ho ammirato più che altro per l’umanità di cui sono pregni, un calore vero che trasuda nelle loro parole, nei gesti, nelle intenzioni e nei modi.
L’interrogativo resta: quanto pesa la tecnica (ghost writer, esperti di televisione, stylist)? Per dirla in altro modo:

Il buon comunicatore ci è o ci fa?

Sono quesiti che potrebbero reggere un moderno Decamerone, con discussioni interessantissime, ottime per intrattenerci in modo arguto, nelle lunghe serate solitarie.

Altra cosa fondamentale è chiedersi perché si scrive. Non voglio sfogarmi (quel fastidio iniziale si è sopito), non voglio fare un trattatello con materia non mia (lo so, di questi tempi sono contro corrente). Intendo dare una risposta alle mie impressioni, portando alla luce alcuni elementi fondamentali, così da essere utile in qualche modo, pensando che si potranno usare anche dopo l’emergenza.
Questa motivazione mi pare sufficiente a raccontare.

Per capire e dare un ordine al mio sentire ho parlato con due esperti. In realtà, non fatelo sapere agli interessati, mi accorgo ora che tutta questa cosa della doppia intervista era forse una scusa per ascoltare loro su un tema che affascina me.

Ho preso appunti, e qui snocciolo in breve i loro discorsi, invitando tutti a fare riferimento agli originali.
Gli esperti in questione non “fanno” comunicazione, nel senso che non gestiscono “progetti di comunicazione strategica”, come direbbero le agenzie dal 1980 ai tempi nostri. La comunicazione la usano. La applicano, in due ambiti che amo, e che a molti parranno disparati, ma così non è.
Si tratta di un direttore di coro e di una coach.