Lo chef, Clooney e le scarpe rosse

Annabaldo

Dicono che per mantenere giovane il cervello, lo si deve tenere allenato facendo qualcosa di diverso dal solito. È sufficiente camminare sull’altro lato della strada in un percorso abituale, o usare la mano sinistra al posto della destra, anche per svolgere un compito molto semplice.
Io l’ho voluta fare grossa, e mi sono avventurata in una cosa mai fatta prima, ma di un certo calibro: una cena preparata da uno chef stellato. Era una cena di giornalisti, tutti del settore eno-gastronomico (quelli che agli chef stellati danno del “tu”, da quanto sono abitué a queste cose), e io ero l’intrusa, il cuculo della serata. A tavola, nella lista dei presenti, ero indicata come “friend”, perché ero la “seconda persona” che portava con sé un’amica, lei ospite ufficiale e “scrivente”.

Un’esperienza che si annunciava interessante a priori, e che poi ha prepotentemente richiesto una delle mie “recensioni non richieste”.

Definizione quanto mai azzeccata in questo caso, in cui scimmiotto i veri critici, senza dimenticare che nessuno si attende di leggere qualcosa di mio a riguardo. Un po’ per non sentirmi troppo abusiva, un po’ per fare il bastian contrario nella diatriba giornalisti-blogger, all’arrivo alle Tre Panocie ho assunto il ruolo di blogger, definizione che mi faceva sentire libera (e che può benissimo coincidere con l’idea che uno scrive un proprio blog, e chi se lo filerà mai?) e mi concedeva la licenza di fare foto, di quando in quando, anche durante la cena, senza incappare in rimbrotti per l’atto osceno dal punto di vista del bon ton.

Naturalmente, prima dell’evento due erano le possibilità di approccio: pro o contro. Dapprima avevo pensieri che si potrebbero definire radical-chic (una buona parte di me lo è, inutile negarlo). “Che sarà mai”, queste cose delle stelle, in fondo, sono artificio che non mi abbindola; mi piace pensare di essere libera nei giudizi, e rifuggo condizionamenti di etichette che potrebbero anche rivelarsi delle belle scatole vuote. A questo si aggiungeva il pregiudizio, molto diffuso tra gli strati di una sorta di proletariato intellettuale cui pure appartengo, nei confronti di uno stile di ristorazione che soddisfa indubbiamente il senso estetico ignorando allegramente la sua funzione primaria di sfamare il commensale (il popolo, si sa, ragiona con la panza). Però la serata esclusiva non mi lasciava indifferente, e volevo quanto meno essere all’altezza. Parlandone, nei giorni prima della data fatidica, ho scoperto che invece c’è più di qualcuno – anche tra le mie conoscenze – che va di propria iniziativa a provare la cucina di uno o l’altro chef, ricercando proprio quelli stellati. Un po’ come si va ad ascoltare un concerto sulla base degli artisti che si esibiranno, e non solo della musica che si ascolterà. La cosa mi ha fatto colmare una parte della mia distanza da un mondo che mi resta ancora estraneo. Poi io sono un’estroversa, lo dicono tutti i test di personalità e pure le analisi Jungiane che ho fatto, quindi una cosa mai fatta, con gente per la maggior parte sconosciuta, non poteva che avere un fascino magnetico per me.

Il fatto di andare alla cena nei panni di “friend”, inoltre, mi procurava un contesto di rilassatezza completa, direi quasi di abbandono al caso. Tanto che non avevo nemmeno controllato le puntuali ed esaustive email dell’organizzatrice, che aveva descritto ogni dettaglio di un weekend ispirato alla grande cucina e ad una produzione vinicola d’eccezione. Sono arrivata a Conegliano del tutto inconsapevole, e disposta a lasciarmi condurre attraverso la serata, sulla quale non avevo nessuna responsabilità (nemmeno dopo, dato che nessuna recensione mi sarebbe stata richiesta).

Le attenzioni riservateci dai padroni di casa erano coccole. Era già vacanza, e lusso.

Inutile dire che un contesto elegante, di semplice raffinatezza, la compagnia amichevole e divertente degli invitati (i giornalisti sono gente simpatica, quelli dediti alla cucina e al buon vino ancor di più), e le attenzioni continue degli ospiti mi hanno conquistata in un batter d’occhi, le mie reticenze di qualche giorno prima totalmente dimenticate.

Lo chef, Tino Vettorello, compare per un saluto già agli aperitivi, serviti in giardino sul far del tramonto. Amichevole, faccia aperta in un sorriso verace, è una presenza di cui si avverte la positività.

Tino Vettorello chef

Mi emoziona sapere che sarà lui, di sua mano e sotto gli occhi attenti dei giovani della brigata di cucina, a curare ogni piatto che arriverà in tavola. Lo trovo un atto di cura, molto zen, per il quale gli sono grata. In abito da lavoro, col grembiule lungo, porta scarpe da ginnastica. La cosa non mi meraviglia, vorrà stare comodo, in un lavoro lungo e faticoso come quello della cucina (stellata e non). Sono rosse. Quasi non le noto, avrebbero potuto essere giallo fluo, che va tanto di moda tra i runner. Non le noto perché avevo tralasciato di leggere l’introduzione alla serata: si presenta sì il menù che Tino ha ideato per “Venezia 74”, la Mostra del Cinema dove le star internazionali arriveranno ben dopo di noi a degustare le prelibatezze dello chef stellato (datemi cinque minuti di trattamento VIP e mi trasformo in una snob da Jet set), ma la passerella internazionale servirà a molto di più. Tino Eventi sostiene lo Human Brand “eVe”, progetto a favore di alcuni centri anti violenza che lavorano per aiutare le donne vittime di maltrattamenti, a tutti i livelli.

Ecco il perché delle sue scarpe rosse, e di una foto che vuole scattare assieme a tutte le donne presenti alla serata (non era il solito scatto “beato tra le donne” che, tra l’altro, prevede un senso meramente decorativo delle signore).

Un minuto di vergogna a me per non averlo capito subito. Dunque al Lido, negli spazi della ristorazione (terrazza in primis, che è già da sola un luogo magico), si venderanno magliette e polo con il logo eVe, a fronte di donazioni che andranno a contribuire alle attività dei centri anti violenza.

La mia “recensione non richiesta” si ferma qui, che poi è il punto più importante, e lascio ad altri la presentazione delle portate. La cena è stata una sinfonia dei sensi, tra sapori, colori e forme di piatti che, nella classicheggiante linearità delle presentazioni, celavano un caleidoscopio di sensazioni, una sorpresa dopo l’altra non per stupire ma per deliziare la fantasia dei commensali.

Me ne sono tornata a casa un po’ trasognata, pensando che, comunque, resta buonissima la sopressa, ma a tavola si può tradire allegramente, senza sensi di colpa, gustarsi un’avventura per poi tornare alle abitudini domestiche senza dare spiegazioni, nemmeno alla propria coscienza.

Nota 1. Cosa c’entra George Clooney?
Il piatto con il rombo su asparagi di mare è stato ideato per lui, e verrà riproposto quest’anno (George torna a Venezia). E poi mettere un nome di VIP nel titolo vi avrà fatto leggere l’articolo, no?

Nota 2. Grazie!
Grazie a Cinzia Dal Brolo, la giornalista di cui sono “friend” per avermi trascinata nella bella avventura, e a Cristiana Sparvoli che ha curato il press tour per Tino Eventi, insegnandomi nel contempo cosa vuol dire fare con passione ed energia un lavoro non semplice (lo chiamano ufficio stampa, ma è molto di più).

Nota 3.
Bastian contrario è una parola, e un concetto, che mi piace oltre misura.